APPUNTI DI ASTRONOMIA 2011-2012 – Cap 18

APPUNTI DI ASTRONOMIA 2011-2012

Domenico D’Amato
Andrea Miccoli

INDICE

18 – STRUMENTI PER L’OSSERVAZIONE DEL CIELO

LA LUCE

Non tutti sanno esattamente cosa sia la luce, gli stessi scienziati hanno impiegato un bel po’ di secoli per scoprirlo.

A lungo ci si è accontentati di credere che un creatore, dopo aver fatto il cielo e la terra e prima di accingersi a creare tutto il resto dell’universo, “fiat lux et lux facta est”.

Del resto, è difficile immaginare che potesse creare il firmamento, mari e monti, piante ed animali, operando completamente al buio. Meno difficile, invece, è sospettare che la luce sia venuta a mancare al momento di creare l’uomo, che in effetti mostra qualche difetto di costruzione.

A parte gli scherzi, e prescindendo dalle credenze personali riguardo all’origine dell’universo, è impossibile immaginare processi fisici o chimici senza produzione di energia, né si può pensare che l’energia si accumuli indefinitamente sul corpo che l’ha generata senza essere scambiata, in qualche modo, attraverso lo spazio circostante sotto forma di energia raggiante.

Ebbene, la luce è la manifestazione visibile ai nostri occhi di questo fenomeno ben più ampio, che comprende in maniera unificata aspetti elettrici ed aspetti magnetici, oltre agli aspetti ottici coinvolti nel processo della visione. La radiazione elettromagnetica, come viene usualmente chiamata ai nostri giorni, è un fenomeno dalla duplice natura corpuscolare ed ondulatoria, come si è evinto dopo secoli di esperimenti.

Dal punto di vista corpuscolare, la radiazione elettromagnetica si trasmette sempre in multipli interi di un’unità elementare (fotone).

Dal punto di vista ondulatorio, questa propagazione energetica può essere descritta da una lunghezza d’onda lambda, da una frequenza ni e da un’ampiezza, dando luogo ai fenomeni di diffrazione ed interferenza tipici della propagazione ondosa.

Lunghezza d’onda e frequenza sono grandezze collegate, come si può intuire, essendo inversamente proporzionali, il loro prodotto è costante ed è pari alla velocità della luce nel mezzo attraversato.

Nella generalità dei casi, lambda è la distanza tra due creste successive dell’onda ed è misurata in nanometri (nm), corrispondenti al miliardesimo di metro, mentre ni corrisponde al numero di oscillazioni compiute dall’onda in un dato periodo ed è misurata in hertz (Hz), cioè cicli al secondo.

La radiazione elettromagnetica è distribuita su un ampio spettro di lunghezze d’onda, di cui soltanto una banda ristretta (380-760 nm) è visibile ai nostri occhi ma è possibile, tramite specifici strumenti attivi su altre bande (onde Radio, Raggi X, etc.), aprire ulteriori finestre per una indagine più approfondita dell’universo (vedi fig 18.1).

Fig 18.1 – L’onda e lo spettro della radiazione elettromagnetica

Fig 18.1 – L’onda e lo spettro della radiazione elettromagnetica.

La luce si propaga in linea retta, deviando dal suo percorso se incontra un oggetto riflettente (riflessione), o se attraversa medium di densità diversa (rifrazione), o se passa in prossimità di un oggetto fortemente massiccio come una stella, un buco nero o una galassia (deflessione).

La riflessione avviene quando un raggio di luce colpisce una superficie e parte del raggio incidente o quasi tutto viene riflesso in un’altra direzione con un angolo uguale – rispetto alla perpendicolare al punto incidente (vedi fig 18.2.a).

 

Fig 18.2 – a) - Riflessione di un raggio di luce

Fig 18.2 – a) – Riflessione di un raggio di luce.

La rifrazione avviene quando un raggio di luce deve attraversare un materiale trasparente di densità diversa da quello in cui arriva; si manifesta con la deviazione del percorso secondo un angolo diverso da materiale a materiale e dipendente anche dalla lunghezza d’onda della luce stessa.

La luce composta, come può essere quella del Sole, viene scomposta formando l’arcobaleno (vedi fig 18.2.b).

Fig 18.2 – b) – Rifrazione di un raggio di luce

Fig 18.2 – b) – Rifrazione di un raggio di luce.

La deflessione dei raggi di luce, che passano radenti ai bordi del Sole, fu predetta per la prima volta da Einstein, che la stimò pari a circa 1,75’’ di arco (fig 18.2.c) in una comunicazione del novembre 1915.

 

Fig 18.2 – c) – Deflessione di un raggio di luce
Fig 18.2 – c) – Deflessione di un raggio di luce.

La successiva verifica, a seguito della spedizione di Sir Eddington a Prince Island nel 1919, fu la prima eclatante conferma sperimentale della Relatività Generale, e fece immediatamente dello scienziato una celebrità mondiale.

Sfruttando i primi due fenomeni, è possibile creare degli strumenti che migliorino la visione degli oggetti lontani oppure, tramite l’effetto di lente gravitazionale del terzo, è possibile ricavare preziose informazioni cosmologiche.

LENTI E SPECCHI

Le lenti sono dispositivi di materiale trasparente con le superfici di forma tale che, a causa della rifrazione, i raggi di luce che le attraversano vengono deviati e concentrati in un unico punto detto fuoco.

La distanza tra la lente ed il fuoco è detta distanza focale (vedi fig 18.3).

Fig. 18.3 – Lente

Fig. 18.3 – Lente.

Gli specchi sono dispositivi che, tramite una superficie di forma appropriata e trattata in modo particolare, riflettono la luce e ne fanno convergere i raggi in un unico punto detto fuoco.

La distanza tra lo specchio ed il fuoco è detta distanza focale (vedi fig 18.4).

 

Fig 18.4 – Specchio
Fig 18.4 – Specchio.

IL BINOCOLO

Il binocolo è lo strumento che permette una visione a grande campo del cielo e, soprattutto, una visione più naturale perché impegna entrambi gli occhi.

Esso è composto da due parti simmetriche a lenti, in cui esiste un sistema di regolazione della messa a fuoco generale (uguale per entrambe le parti), uno di messa a fuoco per una parte e un sistema per variare la distanza tra gli oculari, in modo da poterli adattare alla distanza tra gli occhi dei diversi utilizzatori.

I binocoli comuni hanno gli oculari fissi e sono indicati da una coppia di numeri(ad es., 7 x 50).

Il primo numero (7x) indica l’ingrandimento ed il secondo (50) il diametro in millimmetri dei singoli obiettivi.

Fino a circa 10 ingrandimenti, è possibile effettuare osservazioni a mano libera o semplicemente appoggiandosi ad un supporto fisso.

Ingrandimenti superiori richiedono che il binocolo sia fissato saldamente su una montatura.

Negli ultimi anni sono stati posti in commercio binocoli per uso astronomico, con caratteristiche simili ai telescopi.

Questi permettono una visione più agevole ma hanno il grave difetto di costare troppo.

In questi strumenti con obiettivi di grande diametro, gli oculari sono estraibili e si può pertanto variare l’ingrandimento.

È come avere due telescopi perfettamente identici, con una dotazione di oculari doppia e quindi doppia spesa!

IL TELESCOPIO

Il telescopio è uno strumento che migliora la visione degli oggetti lontani, permettendo di vedere particolari che altrimenti l’occhio umano non sarebbe in grado di percepire.

L’occhio umano ha una pupilla che misura circa 7 mm di diametro, quando è adattata al massimo per la visione notturna, la sua capacità di raccogliere luce è proporzionale alla sua superficie, cioè al quadrato del diametro.

Tanto per intenderci, una lente di 3 cm è in grado di raccogliere una quantità di luce 18 volte superiore all’occhio umano (questo numero è dato dal rapporto tra le superfici).

L’oculare del telescopio ha la funzione di questa lente e, quando l’occhio si accosta per vedere attraverso di esso, vede cose che altrimenti non sarebbe in grado di percepire, sfruttandone la maggiore capacità di raccogliere la luce.

Il telescopio è formato da una lente o uno specchio – tra poco si vedrà la differenza – che concentra la luce proveniente dalle stelle nel fuoco (data la loro enorme distanza, è come se fossero all’infinito, per cui i raggi si possono considerare paralleli).

Nel fuoco l’immagine è ripresa dall’oculare che provvede all’ingrandimento.

La prima cosa da notare è che l’ingrandimento non dipende dalla grandezza del telescopio ma unicamente dalle caratteristiche dell’oculare (in seguito si vedrà in che modo).

I telescopi si suddividono in rifrattori e riflettori.

TELESCOPIO RIFRATTORE

I telescopi rifrattori sono quelli che sfruttano la rifrazione della luce attraverso una o più lenti (obiettivo) che concentrano la luce proveniente dalle stelle nel fuoco, dove si forma l’immagine che verrà poi ingrandita dall’oculare.

Sono strumenti che diventano più ingombranti man mano che cresce il diametro (e quindi la lunghezza focale), dovendo essere lunghi almeno quanto la loro lunghezza focale.

Data la complessità delle lenti e della struttura che deve sostenerle, sono molto costosi ma sono i migliori per l’osservazione planetaria e della Luna (vedi fig 18.5).

Fig 18.5 – Telescopio rifrattore con obiettivo formato da una lente doppia (doppietto acromatico)

Fig 18.5 – Telescopio rifrattore con obiettivo formato da una lente doppia (doppietto acromatico).

TELESCOPIO RIFLETTORE

I telescopi riflettori sono quelli che sfruttano invece la riflessione della luce sulla superficie opportunamente sagomata di uno specchio, allo scopo di concentrarla su un piano focale in cui è posto l’oculare che, anche in questo caso, determinerà poi l’ingrandimento dell’immagine.

In linea teorica, questo è il principio di funzionamento ma l’applicazione pratica di questo principio è svolta secondo diversi schemi ottici, di cui i tre seguenti sono quelli maggiormente utilizzati dagli astrofili:

1. Newtoniano,
2. Schmidt-Cassegrain,
3. Maksutov.

Il riflettore newtoniano è il più semplice tra tutti ed adatto (come tutti i riflettori) all’osservazione del cosiddetto “cielo profondo”, ossia galassie, nebulose ed ammassi stellari.

È formato da uno specchio principale (obiettivo) di forma parabolica, che riflette la luce in avanti verso il fuoco.

Ad una certa distanza, sull’asse ottico, è posto uno specchietto piano (secondario) a 45°, che ha il compito di riflettere il fascio di luce proveniente dallo specchio primario e convogliarlo lateralmente verso l’oculare, permettendo una comoda visione laterale (vedi fig 18.6).

 

Fig 18.6 – Telescopio riflettore newtoniano

Fig 18.6 – Telescopio riflettore newtoniano.

Lo Schmidt-Cassegrain è così chiamato perché ha incorporato il correttore di Schmidt, una lente piana da una parte e a curvatura variabile dall’altra (convessa al centro e concava lungo i bordi).

È formato da uno specchio primario sferico, che provvede alla riflessione e alla concentrazione dei raggi di luce provenienti dalle stelle in un fuoco.

Il fascio di luce riflesso viene intercettato da uno specchietto piano, posto sul correttore di Schmidt perpendicolare all’asse ottico. Il fascio viene infine convogliato al fuoco dell’oculare, attraverso un foro nello specchio primario (vedi fig 18.7).

 

Fig 18.7 – Telescopio riflettore Schmidt-Cassegrain
Fig 18.7 – Telescopio riflettore Schmidt-Cassegrain.

Il riflettore Maksutov è una semplificazione dello Schmidt, in cui tutte le superfici sono sferiche e quindi più facili da ottenere e più precise.

Il correttore di Maksutov toglie l’aberrazione sferica ma induce un certo cromatismo.

Lo specchietto secondario è ottenuto argentando una piccola superficie del correttore.

Per il resto, il percorso del fascio di luce è identico allo Schmidt-Cassegrain, visto sopra (vedi fig 18.8).

 

Fig 18.8 - Telescopio riflettore Maksutov
Fig 18.8 – Telescopio riflettore Maksutov.

GLI OCULARI

L’oculare è quell’accessorio del telescopio che provvede a rendere visibile e ad ingrandire l’immagine raccolta dall’obiettivo.

Essi sono formati da una o più lenti che, a seconda dello schema ottico, prendono un nome diverso.

In linea di massima, maggiore è la quantità di lenti in un oculare, meno luminosa sarà l’immagine finale, perché ogni passaggio attraverso una lente fa perdere energia al raggio di luce che lo attraversa.

La scelta di un certo schema ottico è però dettato dalla necessità di correggere i difetti ottici che si manifestano quando la luce attraversa una lente (distorsioni, cromatismo, aberrazioni, …).

La complessità di uno schema ottico e la qualità dell’immagine che riproduce si ripercuotono evidentemente sul prezzo di vendita di un tale oggetto.

Un oculare è identificato da un numero (espresso in mm) che rappresenta la focale dello oculare.

La parte dell’oculare che va collegato al telescopio (barilotto) ha un diametro standard (25.4, 31.8 e 51.7 mm). 

Il primo è riservato ai piccoli telescopi amatoriali, i secondi ai medio piccoli e gli ultimi a quelli medio grandi. 

Esistono comunque degli adattatori, che permettono l’uso di oculari con barilotto di misura diversa.

LENTE DI BARLOW

La lente di Barlow è un accessorio che si pone tra il telescopio e l’oculare allo scopo di raddoppiare (2x) o triplicare (3x) l’ingrandimento fornito dall’oculare in uso.

L’immagine risulta peggiorata otticamente perché ogni lente in più sottrae luce all’immagine finale.

DIAGONALE

La diagonale è un prisma che ha la funzione di deviare a 90° il fascio di luce che deve essere raccolto dall’oculare, in modo da rendere più agevole l’osservazione.

L’oculare si monta a valle della diagonale.

ACCESSORI DEL TELESCOPIO

Tutti i telescopi hanno necessità di un piccolo cannocchiale (cercatore) per il puntamento e la ricerca degli oggetti da osservare.

Tale accessorio fornisce pochi ingrandimenti, solitamente tra 5 e 10, ed un grande campo inquadrato (intorno ai 5° di ampiezza).

È montato in maniera solidale e parallela al telescopio principale, con delle viti che permettono la collimazione precisa del suo asse ottico con quello del telescopio.

Il cercatore presenta all’interno una croce, che serve da riferimento per la centratura dell’oggetto inquadrato.

Un altro accessorio, presente sugli strumenti amatoriali della fascia media, è il cannocchiale polare, utile ma non indispensabile, a meno che non si voglia fare un puntamento fine.

Esso è montato sull’asse della montatura del telescopio, che deve essere stazionato parallelo all’asse terrestre.

Nel suo interno, esiste un reticolo illuminato a forma di croce, con un cerchio; il cerchio rappresenta il percorso della stella Polare intorno al polo nord celeste.

È bene ricordare che il polo nord celeste, individuato solitamente dalla stella Polare ne dista in realtà 44’, potrebbe esserci la necessità – ad esempio per la fotografia a lunga posa – della massima precisione nello stazionamento del telescopio. In questo caso, il quadrante del cannocchiale polare riporta anche la rappresentazione schematica del Gran Carro ed un riferimento sul
cerchio che è la posizione corretta della Stella Polare con l’ora (secondo la posizione del Gra Carro dell’Orsa Maggiore).

Ruotando l’obiettivo del cannocchiale polare sino a far coincidere la figura schematica del Gran Carro con quella presente in cielo, la Stella Polare si deve trovare sul riferimento posto sul cerchio del quadrante (vedi fig. 18.9).

 

Fig 18.9 - Quadrante di un cannocchiale polare per lo stazionamento fine del telescopio

Fig 18.9 – Quadrante di un cannocchiale polare per lo stazionamento fine del telescopio.

CARATTERISTICHE DI UN TELESCOPIO

Un telescopio è contraddistinto da due numeri: il diametro dell’obiettivo D e la sua lunghezza focale F.

Il primo è il diametro dello specchio (o della lente nel caso di un rifrattore) principale.

La focale è la distanza, come abbiamo già detto, dallo specchio principale al punto in cui si forma l’immagine (fuoco). Maggiore è il diametro, maggiore sarà la capacità di raccogliere la luce più debole.

Gli oculari sono quelle parti del telescopio che determinano l’ingrandimento.

Essi sono contraddistinti da un numero (espresso in mm), che rappresenta la lunghezza focale f di questo accessorio.

Gli oculari con lunghezza focale più piccola sono quelli che determinano un ingrandimento maggiore.

L’ingrandimento è dato dal rapporto tra la lunghezza focale F del telescopio e quella dell’oculare f, ossia:

i (ingrandimento) = F (Telescopio) / f (Oculare).

L’ingrandimento ottenibile è comunque limitato e dipendente dal diametro del telescopio.

Esiste una formula empirica che prevede un ingrandimento massimo un po’ minore del doppio del diametro del telescopio espresso in mm: perciò un telescopio di 114 mm di diametro permetterà un ingrandimento massimo di circa 200 ingrandimenti.

Esiste poi un’altra formula per determinare il potere risolutivo di un telescopio, ossia la sua capacità di separare otticamente due oggetti distanziati di un certo angolo:

p = 120 / D,

ove p è il potere risolutivo espresso in secondi d’arco e D è il diametro dell’obiettivo del telescopio espresso in mm; questo valore rappresenta l’angolo minimo al di sopra del quale un telescopio può separare due oggetti vicini, è utile nell’osservazione delle stelle doppie o multiple.

DIFETTI DI UN TELESCOPIO

I difetti che possono affliggere un telescopio sono diversi; quelli più comuni sono i seguenti:

•  Aberrazione cromatica. L’indice di rifrazione di un vetro ottico varia con il colore della luce incidente, per cui i raggi di diverso colore che compongono la luce bianca emergono dall’obiettivo con angoli diversi. La conseguenza del fenomeno è che, invece di avere un solo punto, si hanno tanti punti focali quanti sono i colori che compongono la luce, producendo bordature di colore azzurro o arancio come, ad esempio, sulle immagini del disco lunare.

•  Aberrazione sferica. Quando un raggio di luce colpisce una lente, i raggi centrali del fascio sono poco deviati mentre quelli periferici, incidendo sulla superficie ottica con un angolo maggiore, sono maggiormente deviati. In alcuni tipi di obiettivi viene spesso adottata una lente frontale, detta menisco, che consente ai raggi centrali ed a quelli esterni di incontrarsi molto vicini tra loro e di ottenere un punto di fuoco accettabile seppure non perfetto.

•  Astigmatismo. Quando un fascio di luce obliquo colpisce la superficie di una lente, si forma un’immagine che può variare tra un segmentino radiale ed uno tangenziale, a seconda della posizione del piano focale. I due segmenti sono perpendicolari tra loro e la maggiore posizione di fuoco si trova in posizione intermedia tra i due.

•  Curvatura di campo. Quando si osserva un oggetto esteso, posto su un unico piano, i raggi obliqui non si incontrano alla stessa distanza dalla lente in cui si incontrano i raggi paralleli all’asse ottico. Anche questo difetto può essere corretto facendo uso di lenti a menisco.

•  Coma. Si manifesta come una figura a forma di cometa ed è dovuto principalmente alla diversa rifrazione, cui sono soggetti raggi luminosi provenienti da punti lontani dall’asse ottico, a causa della differente curvatura delle superfici ottiche, maggiore nelle parti periferiche rispetto a quelle centrali.

LE MONTATURE DEI TELESCOPI

Tutti i telescopi hanno necessità di un supporto su cui fissarli per poter agevolmente osservare, inseguire e fotografare un qualsiasi oggetto celeste.

Il sostegno più usato è il treppiede, sulla cui parte alta deve esserci un meccanismo che permetta al telescopio di muoversi lungo due assi ortogonali tra loro, in modo da ricercare e mantenere la visione su un qualsiasi oggetto della volta celeste.

Esistono sostanzialmente tre tipi di montature per i telescopi amatoriali:

•  Dobsoniano: è il più semplice ed economico ma non permette l’inseguimento e quindi la fotografia. È un tipo di montatura che poggia direttamente sul suolo e permette al telescopio un movimento secondo gli assi del sistema di coordinate alto-azimutali. Non permette la meccanizzazione dei movimenti ed è usato raramente.

•  Alto-azimutale: è una montatura in cui i movimenti sono intorno al piano orizzontale e quello verticale dell’osservatore.
Il movimento elettro-meccanico di inseguimento è possibile, con una certa precisione, solo tramite computer ed è quindi riservato solo a telescopi professionali di grosse dimensioni, in cui esistono problemi di stabilità e resistenza della montatura. Tuttavia, con l’introduzione dei sistemi computerizzati di guida, oggi il mercato offre dei piccoli telescopi che utilizzano questo tipo di montatura.

•  Equatoriale: è il sistema più usato dagli astrofili. I due assi su cui si muove il telescopio sono quello parallelo all’asse di rotazione della Terra e l’altro perpendicolare, che giace sul piano dell’equatore celeste. Una volta stazionato, il telescopio può inseguire un oggetto in cielo (se ha il movimento elettrico-meccanico sull’asse dell’ascensione retta AR). Inoltre, le coordinate di un oggetto celeste sono valide per tutti gli osservatori sulla Terra, mentre quelle alto-azimutali sono valide solo per un certo sito. Essendo questa montatura la più usata, vediamo di conoscerla meglio.

MONTATURA EQUATORIALE

La montatura equatoriale è stata realizzata in diversi modi.

Fermo restando il movimento secondo l’asse dell’ascensione retta e l’asse della declinazione, il tubo ottico del telescopio è fissato i modi diversi.

Per gli astrofili esistono due tipi: la montatura alla tedesca e quella a forcella (vedi fig 18.10).

 

Fig 18.10 – Montatura equatoriale alla tedesca (a)

a)

 

Fig 18.10 – Montatura equatoriale alla tedesca (b)
b)

Fig 18.10 – Montatura equatoriale alla tedesca (a) e a forcella (b)

Quello a forcella è poco adatto per la fotografia, se adoperato con telescopi riflettori tipo Maksutov e Schmidt-Cassegrain, in quanto l’oculare è posto sulla culatta del tubo ottico, cioè troppo vicino alla montatura.

Non esistono problemi, invece, ad applicare questo tipo di montatura per un riflettore newtoniano.

STAZIONAMENTO DI UN TELESCOPIO

Finora abbiamo visto come è realizzato un telescopio e quali sono i principali componenti e accessori.

È giunto il momento di illustrare la procedura da seguire per il suo stazionamento, regole valide sia per un piccolo telescopio da 100 euro che per uno da 10.000 euro.

Lo stazionamento è un momento fondamentale, che fa “perdere” molto tempo all’inizio, tempo che si rivela prezioso e speso bene nel procedere delle osservazioni successive.

•  La prima operazione è quella di posizionare il treppiede in posizione, in modo che il piano su cui andrà posta la montatura sia orizzontale. Per questo ci aiutiamo con una livella.

•  Fissiamo la montatura sul treppiede, inclinando l’asse dell’ascensione retta di un angolo pari alla latitudine del posto, e dirigendo lo stesso asse verso la stella Polare (o verso il nord trovato con la bussola magnetica).

•  Montiamo il tubo ottico, cercando di equilibrarlo con i pesi che ci sono (se si tratta di una montatura alla tedesca), in modo da agevolare i movimenti su entrambi gli assi.

•  Applichiamo il cercatore e allineiamo il suo asse ottico con quello del telescopio. Per far ciò procediamo in questo modo: scegliamo un oggetto abbastanza distante sulla linea dell’orizzonte (ad es.: la cima di un palo dell’alta tensione, un palo del telefono, una finestra illuminata, etc.) attraverso l’oculare del telescopio. L’oggetto deve essere facilmente identificabile successivamente col cercatore. Una volta centrato l’oggetto campione, blocchiamo il tubo del telescopio e cerchiamo lo stesso oggetto col cercatore. Questi solitamente ha due o più viti di regolazione, che permettono di cambiarne l’orientamento. Al suo interno è visibile una croce, che deve essere posizionata al centro dell’oggetto scelto. Ricontrolliamo che lo stesso oggetto stia ancora al centro dell’oculare del telescopio. Ogni tanto è bene verificare la collimazione tra l’asse ottico del cercatore e quello del telescopio, semplicemente controllando che ciò che si sta osservando all’oculare compare nella medesima posizione nel cercatore, altrimenti agiamo sulle stesse viti di correzione per ripristinare  l’allineamento.

USO DEL TELESCOPIO

Per osservare un oggetto celeste, è sufficiente puntare a mo’ di fucile il telescopio, poi cerchiamo di inquadrarlo al centro del cercatore.

Montiamo per primo un oculare che fornisce il minor ingrandimento (quello contraddistinto dal numero più alto, ad esempio 25 mm o 40 mm).

L’oggetto dovrebbe essere nel campo dell’oculare: lo portiamo al centro. utilizziamo un oculare con un ingrandimento superiore e riportiamo l’oggetto al centro.

Ripetiamo l’operazione fino ad usare l’ingrandimento ottimale per quell’oggetto.

Questa è la procedura da seguire per oggetti conosciuti o che sono facilmente identificabili ad occhio nudo.

Se così non è, e dell’oggetto cercato si conoscono soltanto le coordinate, occorre che le scale graduate presenti sul telescopio siano attendibili.

Il telescopio ha due scale graduate, una per la declinazione ed una per l’ascensione retta AR.

La prima solitamente è fissa e non permette nessun aggiustamento ma è bene comunque controllare la sua corrispondenza.

Dopo aver effettuato correttamente lo stazionamento del telescopio, occorre posizionare il tubo verso la stella Polare e controllare che il riferimento sulla scala della declinazione indichi +90° (la declinazione della stella Polare).

La scala dell’ascensione retta AR deve essere posta in movimento ed il suo valore sull’indice di riferimento deve essere concorde con quello della sfera celeste.

Per effettuare l’aggiustamento, puntiamo una stella conosciuta e ben visibile nei pressi dello equatore (ad es.: Sirio, Arturo, …) e della quale si conoscono le coordinate.

Si lascia che il moto orario (movimento impresso da un motore elettrico all’asse dell’ascensione retta) insegua la stella e ruotiamo la scala di AR finché non indica il valore di AR della stella selezionata.

Per tranquillità, controlliamo che la scala di declinazione indichi il valore di declinazione sempre della stessa stella.

Ogni tanto è bene ripetere la procedura per poter correggere eventuali errori.

Dal momento in cui è stato aggiornato il funzionamento della scala di AR, il moto orario dovrà essere sempre in funzione altrimenti la scala non sarà più attendibile ed occorrerà ripetere la procedura di correzione.

Con le scale di declinazione e di AR attendibili, è possibile tentare di trovare oggetti tramite le loro coordinate astronomiche, anche se non visibili ad occhio nudo: posizionamo il telescopio sulle coordinate dell’oggetto.

La prima ricerca deve essere effettuata sempre con l’oculare con minore ingrandimento.

Tentiamo di vedere qualche indizio del nuovo oggetto tramite il cercatore e l’eventuale candidato dovremo portarlo sul riferimento centrale; guardiamo attraverso l’oculare e, sperando che sia nel campo, lo si pone al centro; usiamo un oculare con maggiore ingrandimento e ripetiamo la procedura sino ad osservarlo con l’ingrandimento ottimale.

CONSIDERAZIONI PER OSSERVARE IL CIELO

Dopo il percorso fatto fin qui, per presentare i punti salienti dell’astronomia osservativa a livello amatoriale, è bene far capire a chi si avvicina a questa disciplina, che gustare il cielo non significa acquistare strumenti dal costo esorbitante, difficili da usare e da maneggiare.

Occorre avvicinarsi all’astronomia per gradi, quando si è esausti dello studio di un livello si passa al livello superiore.

Soltanto così, con pazienza e metodicità, è possibile comprendere e conoscere sempre di più di ciò che ci sovrasta e che ci circonda.

•  Per prima cosa occorre sapersi orientare, ossia saper trovare la stella Polare.

•  Conoscere e saper individuare gli altri riferimenti celesti come l’equatore celeste e l’eclittica.

•  Imparare a riconoscere alcune costellazioni di riferimento ad occhio nudo.

•  Imparare a ricercare costellazioni e stelle in cielo, con l’aiuto di un astrolabio e delle carte celesti. Avere quindi sempre a portata di mano un astrolabio (per orientarsi in cielo), un almanacco (per avere le effemeridi – coordinate – dei pianeti, Luna, oggetti Messier, stelle più importanti, posizione dei satelliti di Giove, etc.) e molto utile è anche un atlante celeste, che però può essere facilmente sostituito da un programma per computer tipo SkyMap, Perseus ed altri.

•  Una volta presa confidenza con le costellazioni e con la volta stellata in genere, possiamo passare ad osservare con un binocolo, lo strumento complementare di un astrofilo.  Con esso arrivano le prime sorprese e le prime difficoltà. La vista migliora, il campo si restringe, le stelle aumentano enormemente di numero, ciò che sembrava acquisito diventa sconosciuto; ci perdiamo in una massa enorme di astri. Eppure è soltanto un binocolo con 7 o 10 ingrandimenti!

•  Quando abbiamo acquisito confidenza con questo strumento, possiamo passare ad un telescopio. Il migliore per iniziare è il classico 114 mm di diametro, ma va anche bene un 130 o 150 mm, non oltre però, quelli più grandi è bene lasciarli per una fase successiva.

•  Il posizionamento deve essere manuale e non computerizzato, anche se dotato di moto orario. Una volta imparato ad usare un telescopio di questo tipo, avremo l’esperienza e l’allenamento per utilizzare gli strumenti di classe superiore (sempre che il portafogli lo permetta).

• Cerchiamo di effettuare lo stazionamento il più preciso possibile, dopo l’inseguimento di un oggetto faticosamente trovato sarà più semplice.

• L’osservazione al telescopio è completamente distaccata da quella che vediamo ad occhio nudo: il campo è enormemente più ristretto (con solo 40 ingrandimenti, la Luna riempie tutto l’oculare, ed è ampia solo circa 30’, ossia mezzo grado!), le stelle visibili diventano tantissime e ci perdiamo facilmente se non impariamo a vedere attraverso un telescopio.

• Quando decidiamo di trascorrere una serata al telescopio, occorre avere un’idea di massima di ciò che andremo ad osservare, altrimenti rischiamo di fare salti qua e là (star hopping) senza concludere e senza vedere nulla o, quel che è peggio, disaffezionarsi e relegare il telescopio nel magazzino ad ammuffire. Bisogna dimenticare le belle foto delle nebulose o delle galassie che i giornali ed internet ci hanno abituato a vedere. La visione diretta è tutt’altra cosa. L’occhio umano nell’oscurità vede solo in bianco e nero ed ha solo una vaga percezione del colore in oggetti particolarmente luminosi.
Questa differenza ci delude, a prima vista, se non siamo sufficientemente preparati. La Grande Nebulosa di Orione (M42) è bellissima e colorata in fotografia, all’oculare ci appare come una macchia grigiastra quasi anonima …

Si potrebbe continuare ancora a lungo ma, da questo momento in poi, ognuno è in grado di
continuare sulla propria strada.
Buon viaggio!